Jaguarà




            Jaguarà
                                                               
                                                  romanzo di 
                                            Margaret Gaiottina

Capitolo 1
San Valentino.
Il giorno perfetto per andare al cinema e sciropparsi in santa pace un bel film romantico, di quelli lunghi, strappalacrime, intrecciati e soprattutto a lieto fine.
Era davvero un ottimo programma.
Maya aprì il primo cassetto del comò e ne lisciò il contenuto con la mano: il maglione rosso di lana pelosa, il dolcevita nero di cotone rasato. No, non era esattamente ciò che cercava. Infilò la mano più sotto, nel secondo strato di golfini, fino a quando il palmo non incontrò la morbidezza dell’angora. Era il maglioncino blu con i cristalli di neve ricamati. Bene.
Lo tirò fuori portandolo dritto sotto il naso e riempiendosi i polmoni dell’odore di bucato che le piaceva tanto, fatto con il sapone antico, di quelli che usavano le nonne misto al profumo di rosa.
Maglione blu e jeans era un bell’abbinamento.
Richiuse il cassetto e fece scivolare sicura la mano sul perimetro del mobile, lungo il bordo. Solo quando avvertì lo spigolo sotto il polpastrello la spostò in avanti verso il portagioielli di legno. Cercò gli orecchini, quelli a forma di bottone blu notte. Trovati.
Infilò le mani nella massa dei capelli rossi, aveva fatto lo shampoo quella mattina quindi erano abbastanza scivolosi e puliti. Sapeva di avere lo specchio del comò davanti, ricordava l’immagine circolare della cornice dorata e anticata. Il ricordo del suo volto invece era come offuscato, lo aveva in mente come lo si potrebbe vedere attraverso una cortina di lacrime. Ma aveva ben presenti le sopracciglia arcuate e gli occhi di un verde così scuro da sembrare quasi castani. I ricordi del viso e del mondo si erano cristallizzati; risalivano all’età in cui tutto sembra andare nel verso sbagliato e non si vorrebbe una sola delle caratteristiche che si posseggono. Si girò di novanta gradi a destra verso la porta e da lì contò quattro passi fino all’attaccapanni. Distendendo il braccio incontrò ciò che si aspettava, la montagna di cappotti e borse.
Sotto le dita riconobbe la stoffa morbida del piumino imbottito con il risvolto di finta pelliccetta. Batté la mano sulla tasca destra, le chiavi c’erano. Si chinò appena per prendere la sacca sul tavolinetto basso alla sua destra. Sapeva di averci messo cinquanta dollari quella mattina, quindi era a posto così. Anzi no, forse era meglio infilare la mano, giusto per assicurarsi che il telefonino fosse nella tasca. Sì, c’era.
– Direi che possiamo andare, Doc vieni qui!
Uno zampettare allegro e un ansito regolare precedettero un paio di guaiti obbedienti. Doctor, il labrador miele ciondolò fino alle gambe di Maya e le diede una bella strusciata muso contro jeans, pronto per l’uscita.
– Vieni bello.
Maya si chinò per agganciare il guinzaglio al moschettone, tirò fuori dalla tasca il berretto di lana con il pompon e spalancò il portoncino a quel freddo pomeriggio d’inverno, pronta per la sua missione.
A svariati chilometri di distanza ma nemmeno poi tanti considerato l’universo intero che lo separava dal pianeta della gente comune, Orlando si chinò per agganciare il guinzaglio al moschettone.
Se Roxanne avesse dovuto definirlo catturandone l’immagine in quel preciso frangente, avrebbe usato parole come: toro da monta, dio del sesso, emblema della perversione. Era tutto ciò che le veniva in mente solo guardandolo.
Alcuni riccioli scuri gli sfioravano la fronte umida di sudore, altri ricadevano appena sulla nuca. Con uno sbuffo del labbro i capelli volarono verso l’alto, scoprendo per un istante il nero intenso degli occhi tra le ciglia lunghe e scure allo stesso modo. La linea della mandibola era tirata, come se dietro le labbra piene e perfettamente disegnate Orlando stesse digrignando i denti.
Nudo, teneva in bella mostra tutto ciò di cui la natura lo aveva generosamente dotato.
Quello era un uomo che non conosceva il significato della parola pudore. Non c’era traccia di imbarazzo nel modo in cui teneva diritte le spalle ampie e forti o nella maniera in cui il respiro gli faceva espandere il torace guizzante di muscoli potenti.
I peli scuri digradavano fino quasi a scomparire all’altezza dello stomaco, per poi rinfoltirsi là dove i muscoli sulle anche formavano una “V” peccaminosa. Ed era proprio al centro delle cosce potenti che un pene di dimensioni superiori alla media svettava orgogliosamente dritto. Roxanne si leccò le labbra gustando il sapore del rossetto di lusso che si era data.
Tutta quella forza dirompente non sarebbe stata per lei quella sera. Sarebbe toccato a Marie goderselo, mentre lei avrebbe dovuto limitarsi a guardarlo. Tuttavia non sarebbe rimasta a bocca asciutta, anche se sapeva per esperienza che non avrebbe avuto neanche la pallida controfigura della soddisfazione che gli avrebbe dato lui.
Orlando artigliò la presa sui capelli di Marie strattonando leggermente anche il collare. La vittima mugolò un verso che era di resistenza mista a estasi. Gli occhi colore del carbone di Orlando ardevano di un sentimento oscuro e minaccioso. C’era lussuria, una prepotenza antica e insuperabile, un’arroganza misteriosa che sembrava gridare “io posso, posso fare questo e molto altro. E tu me lo permetterai”.
Era tremendamente vero. Roxanne gli avrebbe consentito di scoparsi quella ragazza davanti ai suoi occhi, il godimento di Orlando sarebbe stato anche il suo.
Roxanne si inarcò per ricevere l’uomo alle sue spalle. Era talmente immersa in quella visione che lo aveva quasi dimenticato. Accusò il colpo incassando la stoccata vigorosa mentre continuava imperterrita a guardare. Sì, nonostante tutto poteva ben dire che sarebbe andata molto meglio a Marie quella sera, e non solo per un fatto di dimensioni.
Ma quello era il gioco e lei doveva starci.
Gli occhi di Orlando non smettevano di abbeverarsi avidi alla sua umiliazione con l’uomo che la stava prendendo. Poteva leggervi un senso di trionfo, una spietatezza senza confini che faceva eco agli affondi del bacino di lui sul corpo esile della ragazza completamente piegato.
Guardare la pelle che gli si imperlava di sudore, ammirare i muscoli delle cosce contrarsi nello sforzo di sorreggere il corpo e pompare nello stesso tempo dentro il ventre di Marie, erano uno spettacolo primordiale. Roxanne lo vide dischiudere le labbra, gettare la testa all’indietro e ruggire con un’intensità tale da prosciugarle la bocca. Con le vene del collo gonfie per lo sforzo e lo sguardo annebbiato dalla sete di sesso, Orlando era l’immagine dell’abiezione totale: ciò che lei preferiva in assoluto.




Una raffica di vento penetrò il giaccone di Maya e si insinuò sulla pelle del collo facendola rabbrividire.
Stava filando tutto liscio, ma che fatica programmare ogni minimo dettaglio. Però ne sarebbe valsa la pena e la ricompensa sarebbe stato godersi quell’attimo di libertà e di preziosa normalità.
Maya aveva a lungo temuto che la governante quel giorno non ne volesse proprio sapere di andarsene; la signora Gordon aveva indugiato per casa dopo pranzo come se sospettasse qualcosa, ciondolando per le stanze e sistemando la cucina con una cura quasi ossessiva. Maya aveva fatto una fatica immane a sbarazzarsene.
La verità era che la signora Gordon non si sentiva solo la governante di casa O’Byrne, ma era completamente immedesimata nel ruolo di angelo custode.
Maya era solo cieca dopotutto; lo era esattamente da dieci anni e lo sarebbe stata per sempre. Era arrivata al venticinquesimo compleanno e venire trattata come una bambina era insopportabile. Svoltò l’angolo e avvertì sotto le dita una superficie fredda e liscia: una vetrina. L’anfibio pestava l’asfalto mentre una serie di suoni le riempivano le orecchie: i tacchi di un paio di donne che venivano nella sua direzione, il chiacchiericcio di un gruppo di ragazzi dietro di lei, i clacson delle auto nella corsia di marcia.
I suoni del quartiere erano musica, vita, gioia.
La prima scelta era stata il cinema Royal, l’idea di andare a sentire la storia di Channing Tatum che spasimava per la moglie che aveva perso la memoria in “The Vow” le aveva già cambiato l’umore, si sentiva eccitata e frizzante. Essere ciechi d’altra parte non equivaleva certo a doversi privare di tante cose che potevano farsi anche con la vista, ma non solo con questa. Il suo divertimento segreto era costruire il suo film personale, lasciandosi ispirare dai dialoghi ma sopratutto amava sbrigliare l’immaginazione quando in sala rimanevano i rumori prodotti dall’azione. O quando si intensificava la musica della colonna sonora. Ne uscivano trame del tutto fantastiche e molto diverse da quelle originali, come poi il giorno dopo avrebbe scoperto andando a cercare su internet grazie al lettore vocale.
Al cinema Royal la conoscevano bene; certo, non erano abituati a vederla arrivare da sola come quel giorno. Di solito era con la governante o più spesso con Jeremy. Ormai anche Doc sapeva cosa fare e si accucciava obbediente accanto alla sua poltrona con il muso per terra aspettando paziente fino alla fine del film.
Maya sorrise tra sé, mentre Doc la guidava lungo il marciapiedi e lei contava i passi fino all’angolo successivo. Un aroma di pasta frolla appena sfornata la investì in pieno e la avvolse come un’ondata. Doveva essere arrivata davanti alla pasticceria in fondo alla strada. Pregustò la tappa che aveva programmato dopo il film.
Doveva essere un giorno speciale quel San Valentino e una semplice puntata al cinema, per quanto per lei non fosse affatto “semplice”, non era abbastanza. Per spezzare la monotonia ci voleva anche una sosta nella cioccolateria più famosa di Sussex. Non avrebbe dovuto neanche fare una deviazione e per di più aveva ripassato a mente mille volte il tragitto, scegliendo se era meglio andare attraverso il parco o sul marciapiede. Alla fine aveva pensato di optare per il marciapiede perché i punti di riferimento erano sicuramente migliori. Doveva assolutamente prendere il cioccolato alla cannella e anche un pezzetto di quello al peperoncino, erano i suoi preferiti, era quasi imperioso il bisogno fisico di sentire sulla lingua il liquefarsi dolce della cannella e poi la decisione del gusto piccante. Erano giorni che pensava a quella bontà goduriosa per coccolarsi un po’ in una giornata che altrimenti avrebbe finito per farle salire le lacrime agli occhi.
Ma farsi vincere dallo sconforto era assolutamente proibito, non il giorno di San Valentino. Lo faceva ogni anno, sempre lo stesso rito: film romantico e sosta in cioccolateria ma per la prima volta ora lo faceva da sola.
Aveva programmato tutto. Aveva preparato i vestiti da indossare e ripassato mentalmente il percorso. Il giorno prima in radio aveva sentito le previsioni del tempo e non ci sarebbe stato pericolo di pioggia. Aveva fatto tutto quanto era in suo potere per rendere ogni cosa assolutamente perfetta. E normale soprattutto.
Doc stava al suo passo pazientemente ma per quanto tutto stesse procedendo per il meglio Maya non poté impedire che tornasse ad affacciarsi alla mente ciò che era accaduto l’unica altra volta che era uscita a passeggio da sola. Il cuore le si serrò in un pugno. In quei giorni c’erano stati i funerali del padre e forse questo spiegava come lei avesse potuto raggiungere un tale grado di stupidità. Mentre la commessa aspettava i soldi, lei aveva cercato e ricercato il portafoglio per un’imbarazzante mezz’ora. Non avrebbe mai potuto trovarlo! E per il semplice motivo che le era stato sottratto. Chiunque altro lo avrebbe constatato in pochi secondi, lei invece aveva continuato a rovistare nella borsa. L’umiliazione era stata cocente e indimenticabile.
– Ehi Maya!
Maya si immobilizzò e Doc fece altrettanto abbaiando una volta. La voce di Jeremy era un timbro così pulito che l’avrebbe riconosciuta ovunque, un po’ acuta e con il tipico accento newyorkese.
– Jeremy.
Un’ondata di sconforto le risalì nel petto. Aveva fatto le cose per bene, per non incontrare nessuno, perché aveva dovuto trovarlo proprio a cinquanta metri fuori di casa? Perché non ne andava mai bene una?
Sentì che si avvicinava; un profumo maschile le invase le narici e poi avvertì il contatto delle sue labbra morbide e tiepide sulla guancia.
– Che ci fai fuori da sola? Perché non sei con la signora Gordon?
Eccolo che cominciava con l’interrogatorio. Se lo immaginava già, con le sopracciglia aggrottate e le labbra imbronciate, i capelli color miele corti a spazzola tutti dritti, le mani infilate nelle tasche. Aveva “visto” talmente tante volte quel viso attraverso il tocco dei polpastrelli che le sembrava di poterlo osservare realmente.
Quanto avrebbe desiderato che il cuore le battesse forte per quel ragazzo, che potesse essere lui l’uomo della sua vita. Sarebbe stato tutto semplicissimo, ogni tessera del puzzle della sua esistenza sarebbe andata a posto, si sarebbe sistemata a vita con un uomo che l’avrebbe protetta, ascoltata, amata senza riserve. Jeremy aspettava solo un segnale da lei, un qualcosa che gli facesse comprendere che poteva farsi avanti, che avrebbe avuto campo libero nel suo cuore.
Ma le cose per lei non potevano essere mai semplici, mai.
E Maya non sarebbe stata capace di rassegnarsi a un sentimento tiepido. Sognava un uomo che le avrebbe fatto uscire il cuore dal petto, tanta sarebbe stata la gioia di vederlo.
Ma dubitava seriamente che potesse esistere, forse era vero solo nei suoi sogni migliori.
Stabilì che tanto valeva dire la verità fin da subito. Jeremy era un tipo che parlava tanto e le avrebbe fatto un sacco di domande. Sembrava che la sua attività principale fosse preoccuparsi per la sua incolumità.
– Sto solo facendo un giretto e poi non solo sola, sono con Doc.
– Ah sì…
Jeremy non sembrava particolarmente soddisfatto della risposta.
– Praticamente è già buio, dovresti rientrare.
– Jeremy, che fai lo spiritoso? Per me è sempre buio e il film comincia esattamente fra un quarto d’ora. Non vorrai farmi arrivare in ritardo.
Jeremy non era proprio un tipo spiritoso e Maya percepì il suo disagio dal tono di voce ancora più esitante, quasi un piagnucolio.
– Lo sai che non mi piace che tu esca da sola, nel parco all’imbrunire per di più.
Dallo scricchiolio della ghiaia si intuiva che stava spostando il peso da una gamba all’altra. Era nervoso. Ma se lo meritava, anzi era ancora troppo poco per aver cercato di rovinarle l’uscita tanto ben programmata.
– Lo so, ma c’è un buon motivo.
– Ti credo sulla parola, ma posso accompagnarti, sono libero.
Doveva assolutamente tranquillizzarlo altrimenti le si sarebbe messo alle calcagna e addio all’agognata serata indipendente.
– Non puoi farlo, dopo il cinema devo procurarmi un regalo per il tuo compleanno.
Maya sorrise soddisfatta sicura di averlo colpito e affondato.
La notizia sembrò spiazzarlo davvero, ma solo per un istante.
– Ma c’è tempo, manca ancora più di un mese!
– Lo so ma ho in mente una cosa particolare che voglio prendere proprio adesso.
Stava diventando una conversazione imbarazzante e Maya temeva di aver esaurito le risposte dirette ma non offensive. Aveva investito troppe energie in quell’uscita e avrebbe combattuto per difenderla.
Jeremy sbuffò, era contrariato.
– Va bene ma dopo vai a casa senza fare altre soste, ti prego.
Quando faceva così era difficile resistere, Jeremy era il figlio di uno dei migliori amici di suo padre, praticamente uno di famiglia.
Dedicarono altri due minuti alle chiacchiere amichevoli e Maya si sforzò di essere decisa ma irremovibile.
–Adesso però devo proprio andare altrimenti faccio tardi, la maschera dovrà accompagnarmi al posto e lo sai che mi scoccia farmi aiutare.
Jeremy era così soffocante e apprensivo che quando le era accanto le mancava quasi l’aria.
– Va bene, ma stai attenta.
Maya strinse le labbra, l’amico aveva ceduto presto, forse anche troppo.
Ma non era il momento di porsi troppe domande, un bacio veloce sulla guancia e poi via al cinema.
Rimasta sola incominciò a rimuginare camminando; Jeremy si preoccupava per lei, ma non aveva idea dello strano radar interiore che la faceva sentire al sicuro in mezzo alla gente nonostante la cecità, colorando con le tinte delle emozioni l’oscurità che la circondava. Avvertire i cambiamenti d’umore e gli stati d’animo di chi si trovava intorno a lei era forse un dono di nascita, di certo però aveva scoperto di possederlo solo dopo aver perso la vista. L’aveva potenziato pian piano, un giorno dopo l’altro. Dapprima aveva iniziato a percepire i malumori, le ansie, le gioie, insomma un’infinità di sfaccettature che componevano gli stati d’animo di chi la sfiorava o le parlava poi aveva preso a bastarle la semplice vicinanza e se le emozioni erano violente poteva avvertirle ormai anche a decine di metri. Quella bizzarria era diventata la normalità, una specie di compensazione della vista.
Le diedero un posto accanto al corridoio, vicino l’uscita di sicurezza. Quando il suono ovattato della colonna sonora iniziò a vibrare nella sala, Maya seppe che era calato il buio per tutti, con la sola eccezione che tutti guardavano un rettangolo che si stagliava nel nero della sala, tranne lei. Ma non le importava perché di lì a poco avrebbe sentito quelle meravigliose voci alternarsi creandole un subbuglio di emozioni che le turbinavano dentro inesprimibili.
Per sopperire alle immagini nelle scene non dialogate si sarebbe fatta guidare dalla musica e dai suoni. E avrebbe fatto volare la fantasia.


Il film terminò in un’apoteosi musicale strappalacrime, un’iniezione di romanticismo della durata di due ore e di lì a un quarto Maya varcò l’uscita della cioccolateria con un abbondante sacchetto in mano. Stava per estrarne un bonbon ancora caldo da posare sulla lingua e sentir cedere sotto i denti in un momento di totale deliquio quando il bip dei messaggi segnalò comunicazioni in arrivo.
Si allontanò dall’uscita della pasticceria e si accostò al muro. Cercò a tentoni il telefonino nella borsa, lo tirò fuori portandolo all’orecchio e facendo partire la segreteria telefonica.
In una mano teneva il sacchetto dei cioccolatini e il cellulare quando, preceduto da una corrente d’aria che le soffiò vicinissimo, qualcosa la spintonò; un urto potente che la fece atterrare in malo modo distesa sul fianco e poggiata su un gomito.
Successe tutto in pochi secondi, attimi di squilibrio e panico, mentre il dolore si fece strada potente e bruciante. Con tutta probabilità si era escoriata gamba e braccio.
Subito un coro di voci le si affollò intorno. La tentazione fu quella di mettere le mani sulle orecchie e raggomitolarsi gemendo per la botta. Il brusio si fece via via più distinto, andando a formare un’unica eco che si prodigava e che le chiedeva come stesse.
Maya cercò di risollevarsi proprio mentre due braccia robuste la tirarono su e un odore familiare le arrivò dritto al naso.
Tra il borbottio della piccola folla riuscì a distinguere Jeremy che bofonchiava cercando di camuffare la voce.
“Tutto bene?” chiese.
Le veniva da piangere. Jeremy non l’aveva ritenuta capace di cavarsela da sola e l’aveva seguita! Ma la cosa peggiore era che i fatti gli avevano dato ragione. Maya avvertì il cuore caderle nelle viscere con un tonfo sordo. Quanto era accaduto dimostrava che lei era del tutto incapace di badare a se stessa.
Doveva esserle stato dietro per tutto il tempo, durante il film, e poi doveva averla seguita fino alla cioccolateria. Sentiva che gli occhi le si riempivano di lacrime e che la sensazione di vertigine e di vuoto la stava inghiottendo.
–Sì, tutto bene– rispose cercando di tenere a bada il tremolio della voce, ma le parole le uscirono smozzicate.
Il telefono le era sfuggito di mano e chissà che fine aveva fatto. Maya sentì la voce di Jeremy dire il tono contrito:
– Credo proprio che le servirà un telefono nuovo.
Maya raddrizzò le spalle. Poco male, era un vecchio Nokia e forse finalmente avrebbe preso l’ultimo modello, denaro permettendo.
Riprese Doc al guinzaglio e allungò una braccio. Trovò il muro e capì che direzione prendere. Il cuore era gonfio di umiliazione e il mento mantenuto più in alto che poteva, anche se il labbro le si increspava.
– Devo attraversare il parco – sussurrò.
– Da questa parte allora.
La voce di Jeremy ridicolmente camuffata si accompagnò al suo tocco mentre la orientava verso la giusta direzione per andare a casa sua.
– Vuole che l’accompagni?
Maya represse un singhiozzo:
– La ringrazio signore, ma da qui dovrei farcela da sola, grazie.
Era sicura che Jeremy l’avrebbe seguita fino a casa, assicurandosi che arrivasse tutta intera e non l’avrebbe mollata fino a quando non avesse visto la porta di casa chiudersi alle sua spalle.


Maya avvicinò la chiave alla toppa facendola scorrere appena sull’ottone prima di infilarla per chiudersi alle spalle la porta di casa. Si sentiva dieci anni di più addosso. Posò le chiavi nello svuota tasche e stava appendendo il giaccone quando il telefono prese a trillare. Era miss Gordon che l’aveva cercata. Aveva un tono sovreccitato quasi che trovarla a casa avesse del miracoloso.
– Ma dove sei stata Maya! Sono le sei e mezza, è già buio!


Quando abbassò la cornetta Maya si ritrovò ad imprecare ad alta voce ma il telefono squillò di nuovo. La mano era ancora fissa sul ricevitore. Non fece altro che risollevarlo con il cuore gonfio di amarezza. Che cos’altro poteva esserci? Perché la signora Gordon non la lasciava in pace?
– Pronto!
Sbottò esasperata.
Dall’altra parte trovò un tono morbido, femminile e professionale.
– Signorina Maya O’Byrne?
Accidenti.
– Sì
– Qui Saxton Surgery, buonasera, chiamo per un curriculum inviato alla nostra ditta.
Aveva inviato un curriculum alla Saxton Surgery? La clinica privata di chirurgia e medicina estetica più famosa di Sussex?
Maya strinse le labbra, doveva esserci lo zampino di Jeremy.
–Le è stato fissato un colloquio per giovedì alle 11.
Aprì le labbra e rimase muta. Jeremy l’aveva fatto davvero alla fine, aveva inviato il suo curriculum alla Saxton dove lavorava come analista di laboratorio nel posto che era stato lo stesso padre di Maya a procurargli a suo tempo. Lo aveva fatto veramente e ora l’avevano chiamata.
Prese nota del luogo e dell’ora dell’appuntamento e riagganciò.
Un senso di inquietudine prese il posto dello stupore iniziale. Cosa le avrebbero proposto? E di qualsiasi cosa si fosse trattato, sarebbe stata in grado di farla? Eh sì perché il punto era proprio quello, non bastava volerle fortemente le cose, bisognava pure essere capaci di portarle a termine. Maya girò sicura verso il divano.
Non c’era motivo di allarmarsi, d’altra parte molta gente veniva chiamata per colloqui che poi non portavano a niente. Essere convocati non voleva dire per forza essere assunti.
E poi, cosa avrebbero potuto affidare a una ragazza cieca? Un lavoro come centralinista? Giusto quello. E se anche fosse successo, come avrebbe fatto a sbrigarsi con tutto ciò che avere un lavoro regolare all’esterno rende necessario? Andare al lavoro con i mezzi pubblici, presentarsi truccata e vestita in ordine ogni mattina, occuparsi delle pratiche di assunzione… Maya si premette il foglietto di carta con la data dell’appuntamento sul petto come fosse la cosa più preziosa del mondo.

Jaguarà in cartaceo

Jaguarà per chi legge su dispositivo Apple


12 commenti:

  1. bellissimo complimenti!!! ma dove si può acquistare il tuo libro?

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    1. Jaguarà di Margaret Gaiottina può essere acquistato presso le Feltrinelli che spesso ne sono fornite o può essere ordinato in qualsiasi libreria, o ancora acquistato presso i booksellers on line come IB, Feltrinelli online, Amazon, Wuz etc...
      O ancora ordinato presso la casa editrice, dove - pagando online - le spese di spedizioni sono solo di 1 euro e ordinando invece almeno 10 euro di libri, le spese di spedizioni sono del tutto assenti.

      La versione elettronica è invece disponibile su iTunes store con l'iBook di Jaguarà che è leggibile solamente su dispositivi Apple (iPad, iPodtouch, iPhone, Maverik)
      Monica di Mamma editori

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  2. Ciao Rebecca, scusami vedo il commento solo ora! Su Amazon
    http://www.amazon.it/Jaguar%C3%A0-Margaret-Gaiottina/dp/8887303657
    e se leggi su un dispositivo Apple anche su ITunes
    https://itunes.apple.com/it/book/jaguara/id757996043?mt=11

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  3. Bello, bello, l'ho finito in due giorni non riuscivo a staccarmi! Complimenti
    orlando è così......WOW!
    però adesso voglio la storia di Thiago!

    simona

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  4. Ciao Simona! Ci sarà, ci sarà! Grazie infinite :-)

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  5. ciao...il libro deve essere veramente bello ma volevo chiedere se c'è la possibilità di poterlo leggere su altri dispositivi che non siano apple... ho cercato su amazon ed esiste solo in cartaceo...ci sarà la possibilità che sia messo anche su altre piattaforme?? ti ringrazio anticipatamente..

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  6. Ciao Lorena, ti ringrazio; Jaguarà è solo in cartaceo o per Apple, è stata una scelta editoriale ma spero che tu lo prenda ugualmente, magari come volume tradizionale, un abbraccio :-)

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  7. Come non detto! Jaguarà arriva su GooglePlay per dispositivi diversi da Apple!
    https://play.google.com/store/books/details/Margaret_Gaiottina_Jaguar%C3%A0?id=T7n0AgAAQBAJ&hl=it

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  8. Ciao, sono nuova.
    Ho finito ieri l'ebook Jaguarà, molto bello, tanto che adesso me lo prendo anche in cartaceo..la mia versione di lettura preferita.
    Di solito non acquisto mai i paranormali , un genere che non è nelle mie corde.Fortunatamente, ho letto la trama e ne sono rimasta intrigata.
    Molto insolito, diverso dalla marea di paranormali tutti uguali che girano sul mercato..Hai scelto anche un argomento molto difficile da trattare. Descrivere un personaggio cieco non è semplice, anzi. Eppure (ho collaborato per un certo tempo in un istituto per ipovedenti) sei riuscita trasmetermi benissimo le sensazioni che Maja, la protagonista, sperimenta attraverso gli altri sensi il mondo e ORLANDO. Maya, una ragazza dolcissima, ma anche determinata e testarda ...mi è piaciuta moltissimo.
    E poi che dire di Orlando, un personaggio che ti rimane sotto la pelle.
    Una storia molto bella, dove hai saputo dosare magnificamente amore, passione,sesso e mistero. COMPLIMENTI.
    A quando il seguito con Thiago?
    un abbraccio
    PATTY

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    1. Ciao Patty! Le tue parole mi fanno un piacere che non immagini! E’ vero, l’elemento paranormale in Jaguarà c’è ma è molto lieve, sembra quasi una tara ereditaria, direi una sorta di handicap per il povero Orlando.
      Spero che il romanzo dedicato a Thiago, a cui sto iniziando a lavorare proprio in questi giorni, possa regalare le stesse emozioni; i protagonisti saranno davvero molto diversi da Orlando e Maya, molto molto diversi… Un abbraccio grande grande e sempre grazie!
      Margaret

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  9. Letto in 6 ore...favoloso...! Aspetto anche David perché oltre Thiago anche lui sembra avere una storia complicata...potrebbe essere una fantastica trilogia. Complimenti!

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  10. Ciao cara e grazie per le tue parole! Accidenti in 6 ore!!! Sono piu' che lusingata. Thiago avra' la sua storia sulla quale sto gia' lavorando quanto a David... Si anche lui avrebbe parecchio da raccontare, spero che il mio editore approvi! Grazie ancora e alla prossima lettura!

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